Riflessioni su femminismi e matriarcati

Riflessioni su femminismi e matriarcati

Luisa Vicinelli     Ventimiglia Primavera 2013

 

Inizio facendo un paragone tra femminismo e matriarcato su alcune questioni, perché ritengo che il primo sia la ricerca di quella consapevolezza profonda che nel secondo appariva “naturale”, non inficiata cioè dalle successive sovrastrutture patriarcali. Oserei dire che si trattava dell’autenticità, che tanto dibattito ha suscitato nel femminismo. Le donne nel matriarcato sono autenticamente libere, nel senso che non esiste un ordine del discorso che richieda una teorizzazione della loro libertà (per spiegare meglio non erano libere dal marito perché non esisteva la benché minima possibilità che un uomo potesse condizionarne il comportamento). Su questo punto sono illuminanti le forme di lotta delle donne delle comunità indigene, dove le pratiche ancestrali riscoperte e il discorso teorico stanno fianco a fianco. Le pratiche messe in atto dal femminismo – dall’autocoscienza alla spiritualità femminile – tendono tutte a risvegliare e far rivivere quello stato dell’essere che è la condizione sine qua non della liberazione dal patriarcato. Ritengo che se si recupera quella condizione, tutti gli altri discorsi (e soprattutto quello sugli uomini) diventino immediatamente superflui.

Il separatismo del femminismo è secondo me il mezzo migliore per far sì che la ricerca della libertà autentica abbia successo. Nel matriarcato l’organizzazione stessa della società prevede momenti (tanti e i più importanti nei punti fondanti di un modello sociale) di incontro/scambio/relazione tra donne. Solo oggi possiamo insinuare che una cosa simile sia contro gli uomini, ma la sua forza sta nel rapporto fra donne e non nell’esclusione del maschile. L’esclusione del maschile, oggi, nasce dall’inevitabilità di doversi riprendere degli spazi che sono stati usurpati (perché il patriarcato sì che si fonda in primis sull’esclusione e sulla divisione delle donne, e a seguire di tutti i gruppi che possono essere assimilati alle caratteristiche che il patriarcato ha attribuito alle donne – povertà di beni, debolezza fisica e di mente, posizione subalterna). Questa mania di dover andar avanti uniti, in cooperazione, è l’idea di un patto sociale tra il maschile e il femminile caro alle teorie maschiliste, che in realtà non c’è mai stato, come spiega bene Carole Pateman nel suo libro  Il contratto sessuale. Questo fantasmagorico patto sociale mistifica una chiara realtà: con il passaggio al patriarcato l’uomo ha vinto la disponibilità sessuale, riproduttiva e di cura delle donne. Non esiste nel matriarcato una commistione simile perché le due sfere si caratterizzano nella loro separazione e solo dopo la loro interazione viene regolata da norme sociali volte a garantire il benessere di tutti.

Il materno è un altro aspetto importante, sia del femminismo che del matriarcato. Se nel femminismo oggi appare spinoso è per due motivi:

1   la maternità che abbiamo conosciuto (e continuiamo a conoscere) è quella ridefinita dal patriarcato (una madre che si occupi dei figli dell’uomo e che sia possesso di quell’uomo) 2   l’ordine spirituale che seguiamo (anche quelle/i che non vogliono nemmeno sentire parlare di religione) è che deriviamo da un Dio maschio e che la natura non è più maestra di vita, e questo è destabilizzante per le donne che invece sperimentano altro

La maternità matriarcale è assolutamente libera da qualsivoglia ingerenza maschile, sebbene la riproduzione sessuale fosse ben conosciuta da tempi molto antecedenti i grandi matriarcati del passato, e incarna il concetto del femminile che dà la vita. La compartecipazione alla riproduzione sessuata non inficia né questo punto fondante -tanto che le società matriarcali non hanno il nostro concetto di padre – né il fatto che tutti, uomini e donne, nascono da corpo di donna, sono nutriti da corpo di donna, imparano a parlare da lei. Il riconoscere a quest’esperienza fisica la potenza di sapere della vita e della morte, del linguaggio e della cura ha fatto delle donne il centro delle società, con l’accordo totale degli uomini. (provocazione: sarà stata la memoria ancora viva della partenogenesi? Ne riparleremo se questa operazione di disvelamento delle menzogne patriarcali continuerà con successo).

La madre come inizio è scomparsa nei patriarcati e penso che senza rimetterla lì, difficilmente si arriverà a società egualitarie, di partnership e senza violenza.

Nel femminismo si parla spesso di modalità femminile nell’approcciarsi alle cose della vita, anche se il discorso è vago e c’è il pericolo di ritornare nel “per natura” che ben sappiamo cosa ha voluto dire per le donne nel patriarcato. Credo che si tratti dell’intuizione, che nei matriarcati era realtà appurata, di una differenza di qualità tra il femminile e il maschile: attenzione, non degli uomini e delle donne, perché fare qualcosa con modalità femminile ti faceva entrare automaticamente nel gruppo delle donne e viceversa, indipendentemente dal corpo fisico, quindi lesbiche  e gay non costituivano un pericolo, come invece sono oggi per l’unico ordine riconosciuto – quello eterosessuale su cui si fonda il patriarcato-, perché i matriarcati non sono società dove un genere ha bisogno di dominare sull’altro, ma tutti devono vivere al meglio le loro possibilità, che è poi lo scopo di una società.

Le società matriarcali hanno riconosciuto quanto fosse importante per gli uomini l’azione, il coraggio e l’essere  riconosciuti nel gruppo e avevano previsto ambiti per la limitazione del danno che avrebbe potuto provocare questa modalità (per esempio gli Irochesi, dove era previsto il diritto di veto delle donne sulla guerra e regole ferree per le ostilità tra le tribù). L’azione e il coraggio erano visti come  propulsori del cambiamento di una società, e venivano guidati dal principio centrale della società, cioè le donne. Nel momento del bisogno, gli uomini sono diventati i difensori dell’ordine sociale del matriarcato. Il vero guaio è iniziato quando non c’era più la guida delle donne e con il patriarcato questa forza propulsiva è stata lasciata allo stato brado.

Queste sono le premesse e si basano su quello che oggi conosciamo del matriarcato, ma credo che la ricerca sia solo iniziata e che ci saranno altre scoperte e riflessioni da fare.

Alcuni punti per entrare nel merito del dibattito in atto adesso:

Le donne non hanno tradito il matriarcato, così come gli uomini non gli si sono rivoltati contro. Sostanzialmente gli umani del paleolitico sono uguali a quelli di oggi – stessa conformazione fisica, stessa psiche, quindi non c’è nulla che possa darci segnale di tendenza maggiore al tradimento o al sentimento di esclusione, quindi è meglio ricercare le condizioni storiche e climatiche per sapere come si è sviluppato il patriarcato. Entrare nell’ambito psicologico è a mio pare ridurre il tutto a una lite fra coniugi, che tra l’altro nel matriarcato non esistevano nemmeno e la gente non si identificava nell’essere la moglie di o il marito di. I giochi di potere all’interno della coppia sono nati quando la coppia è stata imposta come modello sociale e non prima. Rimandare a questi atteggiamenti psichici individuali non porta tra l’altro da nessuna parte e ho trovato simili affermazioni in fondo a testi che parlano di tutt’altro, buttate lì, senza studi a sostegno. Secondo me questo ci dimostra soltanto quanto il patriarcato sia ancora oggi interiorizzato in maniera anche inconsapevole. Il fenomeno delle amazzoni, di cui sempre più tracce affiorano nel mondo, e le strenue resistenze che intere popolazioni indigene stanno mettendo in atto ancora oggi contro il modello patriarcale, riportano invece il discorso appunto sul piano storico e sociale. La preoccupazione che una volta recuperata la condizione matriarcale sia sempre in agguato un tarlo dentro di noi, uomini e donne, ha il sapore amaro del peccato originale e la dice lunga su quanto siano pervasivi i modelli imposti, soprattutto quelli religiosi. Ho più fiducia in un’umanità che a fatica sta recuperando la sua libertà interiore e che terrà buon conto dell’esperienza, cosa che non è prevista nel patriarcato che mistifica la storia proprio perché questo non succeda. Ma aspetto anche qualcosa di più argomentato su queste affermazioni.

Credo che nessuna di noi voglia eliminare i maschi: primo perché tradiremmo il nostro principio di datrici e continuatrice della vita e secondo perché il maschile in sé non ha mai costituito un pericolo per il femminile. Per quanto ci abbiano provato, non sono riusciti a bruciarci tutte. Ma ci hanno fatto stare molto male e questo non credo si risolva a tarallucci e vino. Il discorso di voler separare gli ambiti serve per rendere di nuovo visibili le specificità di ciascuno, così come era nel matriarcato, al momento l’unica forma sociale di cui è stata documentata l’esistenza che garantisce un buon grado di libertà e benessere a tutti.

Le società gilaniche o di partnership non sono ancora state documentate e prima di sostenerle bisognerebbe sapere se sono esistite: ad ora sappiamo che nelle società matriarcali esisteva un buon livello di cooperazione così come nel patriarcato la condizione di sottomissione della donna ha conosciuto alti e bassi (probabilmente le società nordiche a cui fa riferimento Riane Eisler rappresentano l’alto), ma i principi che ne regolano la società rimangono gli stessi e non hanno il segno della consapevolezza, ma della riduzione del danno.

Perseguire queste società di partnership e di collaborazione rimanda al post-patriarcato di cui si parla attualmente in maniera diffusa.

Ho chiesto a Ines Pretorius come si configura questa società post-patriarcale, ma mi ha solo espresso un concetto temporale e cioè che dopo il patriarcato che non funziona più, siamo nel post-patriarcato, e credo che una teorizzazione seria sull’argomento sia ancora da venire e dobbiamo necessariamente aspettarcela da chi ha questo tipo di visione.

Al momento il patriarcato è ancora vivo e non dobbiamo rallegrarci troppo se le cose gli vanno male perché le conseguenze le paghiamo sempre noi.

Per quel che mi riguarda trovo molto più costruttivo imparare il più possibile dalle società matriarcali e cercare di riproporre quei modelli alle nostre società, in un’opera di ricostruzione e modifica che non perda di vista le cose necessarie da fare perché la situazione cambi.

Fondamentale è ribadire a questo punto è che la polarità maschile-femminile di cui si parla nei matriarcati è quello dei fratelli e delle sorelle (che nascono   in uno stesso clan e che per la concezione matriarcale di sorellanza e fratellanza possono essere anche cugini da parte di madre). La coppia uomo-donna è propria del patriarcato (la repubblica si fonda sulla famiglia…) e chi promuove società di cooperazione tra i due sessi deve essere bencoscienti che si sta cercando di fondare una società nuova sul solito vecchio pilastro fallimentare (Moso docet).

Mi dispiace constatare che già dalla nascita di questi studi sia di nuovo in atto l’interiorizzazione del patriarcato, soprattutto nelle donne che vorrebbero guidare questo cambiamento, ma d’altronde che è lungo e difficile per tutte lo sappiamo già dal femminismo.

Auspico che vengano a breve i tempi in cui si discuterà, per esempio, se e cosa si deve salvare della tecnologia (un dibattito tecnica verso tecnologia è già stato aperto dalle ecofemministe internazionali), come si possa allargare la spiritualità femminile, condizione necessaria per riavvicinarci alla concezione del mondo matriarcale, senza cadere in un fenomeno compensatorio come quello della new age, come si possano creare spazi di discussione femminile, per proseguire con questi discorsi ( e onore al merito per Franca Clemente e Danila de Angelis per aver proposto un gruppo di approfondimento sugli Studi Matriarcali ), perché credo che il cambiamento, se mai ci sarà, sarà delle donne.

Alcune critiche sui discorsi di altre

Riane Eisler. La relazione padre-figlio è una relazione affettiva che esiste anche nei matriarcati. Farne un fondamento sociale sappiamo già cosa vuol dire e cioè patriarcato.

Credo che le società nordiche di cui parla, per quanto rispondano meglio di altre alle sfide della modernità, soddisfino l’esigenza di mantenere la pace sociale in un modo meno idiota di quello sperimentato da altri paesi, ma l’obiettivo che ci si pone è altro e non mi sembra che nei paesi nordici il livello di felicità sia alto. In più le femministe di là si lamentano di questo patriarcato subdolo, che ti dà gli asili, fa collaborare l’uomo, ma nella sostanza la realizzazione delle donne è lungi a venire (Paola Melchiori e Berit Aas – Quali strumenti il patriarcato utilizza per impedire alle donne di esprimersi: Le Master Suppression Techniques nell’esperienza politica – in questo caso si tratta della Norvegia).

Mi sa che fra un po’ anche in Cina smetteranno di abortirci perché non sanno più come gestire una componente maschile troppo alta, ma non saranno per questo in un matriarcato.

Vedi anche su questo tema Gen  Vaughan quando si riferisce a  miglioramenti momentanei di alcune categorie di donne, che in genere sono legati al peggioramento di altri soggetti – non necessariamente nello stesso continente-   soprattutto di altre donne – e poi possono essere tolti alla bisogna.

 Vogliamo cambiare il mondo o vogliamo stare meglio? Anche questo è da decidere.

Starhawk  La prima oppressione è stata quella delle donne, e tramite quella si è arrivati all’oppressione di tutti. (modello riproposto dopo i kurgan anche all’inizio dell’Europa moderna, Caliban and the witch della Federici). La liberazione della donna libererà tutti gli oppressi (con buona pace di Marx).

Questione uomini, quelli che come diceva Paola Melchiori in Crinali abbiamo buttato fuori dalla porta per poi farli rientrare dalla finestra, i sempre presenti nelle discussioni femminili.

Direi che al momento la soluzione lì non si pone. Sono pochissimi quelli che sembrano aver preso coscienza (almeno a parole ma poi è da verificare nella pratica); gli altri devono cambiare e riconnettersi anche loro a valori altri che un tempo avevano. Non c’è che una fioca letteratura a proposito (chiedere per credere a Beppe Pavan del gruppo Uomini in cammino) e una pratica inesistente. Per loro sarà ancora più difficile, perché in fondo nel matriarcato la centralità delle donne non ha mai richiesto agli uomini altro che una presa di coscienza dell’essere gregari e una dignità nel supporto a un modello sociale guidato dal principio femminile -, che sicuramente riconoscevano come buono, mentre nel patriarcato sono gratuitamente centrali.

Direi che il discorso non è prioritario fino a quando le uniche due risposte che riceviamo nell’interpellarli ( e se mi sbaglio scatenatevi perché mi farebbe piacere sapere che c’è qualcos’altro di valido su cui contare) sono “Ma io non ho mai picchiato una donna” e “Ma perché ci volete escludere?” Davvero sto aspettando da anni l’entrata in scene degli uomini sensibili e intelligenti di cui si parla spesso, ma che per ora non raggiungono la percentuale degli avvistamenti UFO, sebbene siano pubblicizzati in lungo e in largo, in primis dalle donne e poi dalla stampa. (Qualcuna forse che la conosce più di me, mi potrà dire cosa è successo dell’auspicata alleanza del giovane uomo con la donna di cui parlava la Lonzi). Davvero non so se vale la pena perdere tempo in questi termini sulla partnership e sono d’accordo con Franca  Clemente quando afferma  che  “devono rimboccarsi le maniche e che dobbiamo educarl”i, ma l’unico modo che conosco per far questo è di ripristinare il principio matriarcale in tutti gli ambiti, il che in soldoni vuol dire perseguire la mia libertà autentica.

Gli uomini non sono il vero problema, come sempre il primato ce l’ha la donna.