Dal passato riemerge la Grande Dea

Dal passato riemerge la Grande Dea

Il passato visto con occhi di donna: la civiltà dell’Antica Europa

E se la storia della nostra civiltà europea non fosse iniziata con la vittoria del patriarcato, con le guerre e le gesta gloriose degli eroi e degli dei dell’Olimpo? E’ quanto dimostra l’archeologa Marija Gimbutas che ha riportato alla luce nelle sue campagne di scavo nel cuore dell’Europa le tracce di una raffinata civiltà protoeuropea pacifica, da lei chiamata civiltà dell’Antica Europa, che non conosceva l’uso delle armi, non aveva fortificazioni, e la cui cultura era legata al ciclo della natura: vita, morte e rigenerazione, simboleggiate dalla Dea. Saranno le progressive ondate migratorie di popolazione indoeuropee provenienti da est e dalle steppe, che dal 3500 in avanti arrivano con il cavallo e la spada, e con una precisa struttura gerarchica e guerriera alle spalle – i cosiddetti Kurgan – a demolire lentamente ma inesorabilmente la pacifica civiltà dell’Antica Europa, e con essa la religione che venerava la Dea, origine di tutte le cose viventi, energia incessante che genera tutte le forme. Ma il femminile come presenza sacra con cui dialogare permane lungo i millenni nelle figure, nei simboli negli oggetti, nei canti e nelle danze, nel folclore, memoria iscritta nelle nostre cellule.…

l’Archeomitologia di Marija Gimbutas

Manufatti, tombe, statuette, oggetti di culto, immagini femminili, sculture antropomorfiche e zoomorfiche, simboli ideografici, iscrizioni, ornamentazione, testimonianze mitologiche e linguistiche sono l’enorme massa di reperti e materiali che fungono da chiave interpretativa di un’epoca altrimenti non documentata. In assenza di testi scritti, Marija Gimbutas ha decifrato il complesso sistema di simboli contenuti in questi materiali, da cui emerge “un sistema ideologico coerente e continuativo” che riflette la religione della “Grande Dea”. L’archeomitologia, il metodo di studio da lei sviluppato, affianca all’archeologia la mitologia, l’etnologia, il folclore, la linguistica e i documenti storici, e si fonda sul presupposto che le credenze e i rituali espressi dalle cosmologie sacre nelle società arcaiche tendono a conservarsi sopravvivendo in fasi culturali successive. La presenza di migliaia di statuette, oggetti di culto, modelli di templi indicano attività rituali collegate alle realtà stagionali, ed essendo le immagini antropomorfiche prevalentemente femminili riflettono la centralità della donna nell’ambito domestico, agricolo e religioso.

La Grande Dea

La “Grande Dea” non è la versione femminile del Dio monoteistico trascendente, ma il simbolo dell’unità di tutte le forme di vita in natura. I poteri della Dea non si limitano alla fertilità e alla maternità, ma si estendono a tutti i processi del divenire, dunque anche a quello della morte e della rinascita. La Dea è perciò rappresentata nei suoi molteplici aspetti; è una rappresentazione fluida, aperta, che cambia. E’ sì raffigurata nelle statuette con i grandi fianchi e i seni abbondanti, ma è anche altro: uccello, serpente, pesce, albero, fiore, pietra. Sono metafore sacre che non hanno avuto inizio con la transizione alle economie agricole del Neolitico ma hanno origine nell’era Glaciale del Paleolitico Superiore.

I mille volti della dea. Simboli della trasformazione: nascita, morte, rigenerazione

Ad Hacilar, Anatolia centrale (fine VI millennio), una rana di terracotta con testa e seni di donna è raffigurata in forma di M aperta, nella tipica posizione del parto e una rana in pietra nera proveniente da Achilleion (6300 a.C.) è raffigurata nella stessa posizione, con una vulva dentellata che era stata forata per essere usata come amuleto. L’usanza di scolpire rane e ibridi donna-rana in associazione con la nascita e la rigenerazione continua anche in epoca storica. Una statuetta in terracotta appartenente alla Prima cultura Sesklo ad Achilleion (6300-6200 a. C circa.) raffigura una donna incinta con le gambe sollevate a mostrare la grande vulva; sulla parte inferiore della schiena sono incise tre linee parallele. In una posizione simile è anche una scultura proveniente dal tempio megalitico di Hagar Quim sull’isola di Malta; la donna tocca con la mano destra la vulva mentre tiene alzata dietro la testa la sinistra, nove linee parallele incidono la schiena. Si può supporre che le donne non partorissero da sole ma fossero assistite da altre donne, in una sorta di rituale quasi sciamanico volto a sostenere il parto che, non di rado, era una soglia fra la vita e la morte – molte infatti erano le donne che morivano dando alla luce i figli.

Esistono poi numerose sculture che esprimono un legame fra regno animale e quello umano. In una scultura Vinca una madre tiene in braccio due bambini raffigurati da orsi, oppure con maschere da orso. L’associazione dell’orso(bear) con la donna che partorisce è avvalorata dalla radice bher e ancora oggi in inglese si dice “to bear children”, partorire bambini.  Ma anche la scrofa, l’uccello, il maiale sono simboli di nascita. Molti sono i vasi, le brocche e le statuette a forma di uccello dotate di segni. Una Dea –uccello proveniente da un sito Sesklo in Tessaglia (VI millennio) indossa una maschera con un grande becco, ha un lungo collo da uccello acquatico e capelli accuratamente pettinati; con le mani offre i suoi seni, fonte di nutrimento, sorgente del liquido che dà la vita; sul braccio sono incisi V multiple, ornamenti a zig zag, i simboli che che Gimbutas identifica come i segni della Dea.

Molte sono le sculture con attributi di serpenti, sedute in posizione yogica. I serpenti sono stati sempre venerati come veicoli dei poteri ctoni, spiriti degli antenati, metafora delle realtà cosmiche della morte e della rigenerazione. Come gli uccelli depongono le uova, procurano la vita, dunque anche la morte e la rinascita.

Tra le figure associate con la morte e la rigenerazione troviamo l’avvoltoio (v pitture parietali Catal Huyuk)  dipinti nell’atto di avventarsi su cadaveri per consumarne le carni. In Egitto la Dea Mut, Neith e Iside hanno tutte l’aspetto dell’avvoltoio. La Dea-Civetta è un’immagine ricorrente sulle pareti delle tombe megalitiche. Ma anche la cornacchia, il corvo, il falco, il cuculo. La dispensatrice di vita può trasformarsi in immagine spaventosa di morte o essere rappresentata come un nudo rigido con un grande triangolo pubico in cui inizia la trasformazione della morte in vita. Queste immagini sono quasi sempre ricoperte di segni: vortici, croci, segni quadrangolari simboli del dinamismo della natura che assicura la nascita della vita e muove la ruota del tempo ciclico perché la vita si perpetui.

La vita umana e quella animale sono generate dal corpo femminile, l’ocra rossa, simbolo del sangue della vita rimanda al suo mistero: le donne come le stagioni e la luna seguono dei cicli, è per questo i nostri progenitori hanno considerato femminili anziché maschili i poteri del mondo che donano e mantengono la vita.

Il linguaggio della Dea: una scrittura?

Triangoli, spirali, meandri, chevron, zig zag, reti, cerchi concentrici, doppie asce, linee ondulate: si parte da un segno di base su cui si fanno variazioni semplici o complesse. Si trovano sugli oggetti posti nelle tombe, sulle tavolette votive, nei santuari, sui piatti di culto, nei vasi cerimoniali, nelle ciotole per libagione, sulle statuette. Oggetti, statuine iscritte: elementi ornamentali contraddistinti da un principio di simmetria, ma anche sequenza di segni senza simmetria, criterio che distingue i motivi ornamentali dai segni della scrittura. Li troviamo ovunque nella civiltà balcanica, e la tradizione di iscrivere figurine o altro continua anche dopo la fine di questa civiltà trasferendosi nelle culture successive, quella minoica a Creta, e quella micenea e in parte anche nella cultura delle isole Cicladi. Secondo le ricerche di Haarman il contenuto delle iscrizioni è costituito da invocazioni alla dea, preghiere, formule ritualistiche, un uso della “scrittura” che si sviluppa esclusivamente all’interno di un contesto religioso e non economico, e che secondo il linguista rappresenterebbe il materiale visuale dal quale più tardi è stato composto l’inventario dei segni della scrittura. Circa la metà dei segni del sistema cretese Lineare A sarebbe di origine balcanica, secondo le teorie di Haarman. “Si può pensare che nella memoria culturale della gente balcanica” si chiede lo studioso “la grande Dea, che aveva tante funzioni, fosse forse anche la patronessa della scrittura?”

Tempi e luoghi della Dea

Il tempo della Dea è un tempo ciclico e non lineare, simboleggiato dalla spirale, espressione della trasformazione continua del mondo naturale che, senza sosta, perpetua la vita.

Il calendario lunare o mestruale: il corno con le 13 tacche incise della Venere di Laussel.

I “luoghi” della Dea sono le sorgenti, le fonti, le grotte, le rocce, le grandi pietre, la natura selvaggia; le caverne, i ripari sotto roccia rappresentano l’utero materno da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna, es. tra i tanti le tombe scolpite nella roccia in Sardegna. Non a caso molte tombe e templi prendono la forma dell’uovo, della vagina e dell’utero della Dea e spesso la forma di una tomba è simile alla collina naturale con un omphalos (pietra simbolo dell’ombelico) sulla sommità a rappresentare il ventre gravido della Dea.

Le grotte e i ripari sono stati per lungo tempo santuari, luoghi di culto e sulle pareti delle rocce troviamo anche le prime rappresentazioni sacre.

Le sorgenti, le fonti: l’acqua come fonte della vita, acqua che scorre e permea ogni cosa…

Arti e invenzioni della Dea

Le donne sono state le custodi dei semi per millenni. I semi sepolti nella terra attendono di germinare come dalla tomba. Centrale nella pratica dell’agricoltura è l’osservazione che la fertilità della terra dipende dalla decomposizione della precedente materia vivente.

L’agricoltura è stata da sempre “lavoro di donne”. Sono donne le prime raccoglitrici e conoscitrici delle erbe e delle piante selvatiche, ne conoscono le proprietà nutritive ma anche quelle curative e magiche; l’agricoltura è quasi ormai da tutti riconosciuta come un’invenzione femminile. Così come l’arte della cottura dei cibi, la medicina. Ma anche la ceramica e molto probabilmente la terracotta; la tessitura e la filatura, l’intreccio dei cesti; tutti questi lavori erano sacri perché il lavoro domestico e la pratica rituale erano una cosa sola.

Nicoletta Cocchi