Una società Matriarcale

Una società Matriarcale al tempo della Globalizzazione. Juchitán – Messico del Sud

di Veronika Bennholdt-Thomsen

 

Ci sono tre ragioni per cui ho scelto il soggetto Globalizzazione e Matriarcato.

Primo, per mettere in evidenza l’assoluta attualità e modernità della società di Juchitán.

Secondo, per mostrare che ci sono esempi e punti di contatto per un’attuale alternativa all’esistente capitalismo globalizzato.

Terzo, nel caso di Juchitán, la comprensione di questa possibilità è particolarmente facile perché non si trova assolutamente fuori dal sistema commerciale globalizzato, ma all’interno di una zona geografica particolarmente vitale dal punto di vista commerciale.

Per iniziare delineerò gli aspetti principali della società di Juchitán. Poi discuterò perché ha senso ed è appropriato definirla una società matriarcale, nonostante l’esistenza di elementi patriarcali nella società stessa. Questa discussione porta direttamente alle questioni:

-quale sia effettivamente il marchio di questo patriarcato intensificato nel capitalismo globalizzato,

– e che cosa, alla luce delle possibilità intraviste a Juchitán, possa essere decisivo per trovare un cammino diverso.

Dettagli geografici

Il gruppo indiano del Centro America degli Zapotechi dell’Istmo si trova nel sud del Messico nell’ Istmo di Tehuantepec, sul lato che si affaccia sul Pacifico dell’ istmo tra il Golfo Atlantico e quello Pacifico del Messico, in una area di circa 7500 chilometri quadrati. La popolazione è di circa 250.000 persone, calcolate sulla base del fatto che parlano la lingua nativa. Questo gruppo ha più o meno un orientamento matrifocale. Il mio rapporto è basato sulla città di Juchitán, situata in questa regione con circa 100 000 abitanti. Essi mostrano chiaramente le caratteristiche di questo gruppo etnico. In questa grande città rurale, che è in realtà un solo grande villaggio, ho portato avanti un progetto di ricerca tra il 1990 e il 1992, e durante questo periodo ho vissuto lì continuativamente per un anno.

L’istmo è stato un’area di transito dal tempo dell’invasione spagnola ed è servito come strada di commercio tra il nord e il sud dell’America Centrale, tra gli Atzechi e i Maya. Il ruolo di centro di scambi commerciali, centro di commerci e crocevia di rotte internazionali è continuato durante il periodo coloniale e la costruzione delle ferrovia nel XIX secolo fino a oggi, nell’area del porto franco Salina Cruz, vicino al quale sono state costruite grandi raffinerie per il petrolio grezzo che viene prodotto nel lato atlantico dell’istmo. Durante il progetto di sviluppo “Plan Puebla-Panama” sono state progettate autostrade a più corsie e ferrovie, alcune delle quali già iniziate, oltre all’espansione del porto container, dell’industria petrolchimica e di molti stabilimenti di produzione.

In relazione a questa situazione geo-politica ed economica la domanda è ovvia: quanto a lungo possono resistere quest’altra economia e cultura non patriarcali?

Non risponderò a questa domanda perché ritengo sia una domanda ideologica sulla linea di “non ci sono alternative” (Margaret Thatcher). Al contrario, descriverò i meccanismi che hanno riprodotto strutture matriarcali e le hanno tenute in vita fino a oggi.

Userò il “noi” facendo riferimento al team di 5 ricercatrici sociologhe che hanno partecipato a questo progetto di ricerca.

Juchitán, la città delle donne

Le donne di Juchitán, dell’Istmo di Tehuantepec, sono famose in tutto il Messico per la loro bellezza e per il loro potere economico. Qualcosa di questo potere può essere percepito nel film sulla famosa pittrice Frida Kahlo, che aveva le sue radici messicane in questa zona. In questo paese, caratterizzato dal “machismo”, la superiorità maschile latina, si sente spesso dire “Juchitán is run by women’s rule.” – a “Juchitan sono le donne che comandano”. In Messico un uomo viene preso in giro e chiamato “Teco” (derivato dalla parola Juchiteco) quando dimostra una certa morbidezza poco virile – nella disputa tra i sessi . “Teca” è il nomignolo che viene dato a una donna che è orgogliosa, energica e in grado di prevalere. Questo riflette abbastanza bene il carattere etnico delle donne a Juchitán .

La città di Juchitán è un centro di commerci regionali. Inoltre vi risiedono molti agricoltori e pescatori. Due ampie lagune di acqua salata, ricche di pesce sono situate a 5-10 km dalla città. Le pianure costiere intorno sono adibite alle coltivazioni e all’allevamento. Per visualizzare il carattere di questa città, possiamo pensare a una città agricola europea, come ne esistevano fino agli anni ‘70 del secolo scorso, costituita principalmente da agricoltori che vivono in città e che possiedono terreni sparsi nel distretto.

I commerci a Juchitán sono esclusivamente nelle mani della donne. Ogni donna si percepisce come commerciante, un capacità che le viene data dalla nascita, per la ragione di essere donna e di essere Teca. Anche se è insegnante o medico, comunque commercerà per esempio in gioielli d’oro o in strumenti medici. Il commercio è sia locale che regionale – i commercianti a Juchitán hanno filiali/empori nelle aree vicine e con altri gruppi etnici – con commercianti distanti fino all’America Centrale e agli stati del Sud degli USA. Le merci che vengono commerciate a lunga distanza sono specialità locali come i gamberetti secchi, tortillas tostate chiamate totopo, gioielli d’oro e tessuti riccamente ricamati. L’agricoltura e la pesca sono i solo domini esclusivi maschili. La moglie di un agricoltore non si vede come contadina, ma come commerciante di prodotti agricoli, e lo stesso vale per la compagna di un pescatore. Gli uomini consegnano i loro raccolti alle donne, che li trasformano in prodotti da forno a base di mais o formaggi, in deliziosi piatti di pollo o pesce affumicato che possono vendere al mercato. Oppure fanno da mediatrici e vendono i prodotti grezzi ad altre donne che a loro volta li trasformano. Lo stesso commercio avviene nell’ambito dei prodotti fatti a mano dalle donne.

C’è una divisione abbastanza rigida del lavoro a Juchitán secondo i due sessi: donne e uomini. Il lavoro definisce il sesso. Si può quasi avere l’impressione che la rigidità nella divisione sessuale del lavoro serva principalmente alla definizione di ulteriori identità sessuali, e non a quelle di uomo e donna . I mushes, per la maggior parte omosessuali che si definiscono donne, fanno il lavoro delle donne e si rifiutano di fare quelli maschili, definendo così la loro identità sessuale tramite il lavoro. In modo simile i marimachas, donne che vivono con altre donne e assumono il ruolo maschile nella relazione. Le pratiche sessuali stesse sono abbastanza secondarie in relazione all’assegnazione del sesso sociale. Il partner sessuale di un mushe non viene considerato anch’egli mushe o omosessuale, ma semplicemente uomo. Lo stesso vale per la partner di una marimacha. Se il partner sessuale stesso non si assegna una propria identità tramite il lavoro come biologicamente antidromic – cioè appartenente a un terzo o quarto sesso, il contatto sessuale è abbastanza sporadico e non riguarda la società più ampia. Ciò che noi definiamo bi-sessualità è molto comune a Juchitán.

La divisione del lavoro basata rigidamente sul sesso assicura alle donne che gli uomini non verranno a fare scalate in questo territorio, garantendo loro piena autonomia nel commercio e nel mercato, che diventano innegabilmente un ambito delle donne.

Pertanto, l’economia a Juchitán è solidamente nelle mani delle donne, il che prova inoltre e contrariamente alle visioni marxiste, l’importanza della sfera della circolazione per tutta l’economia. Sia uomini che donne sono convinti che le donne siano migliori nell’acquistare e vendere e maneggiare il denaro. Per questa ragione gli agricoltori e i pescatori preferiscono consegnare i loro prodotti alle donne invece che alle grandi organizzazioni commerciali che portano le materie prime fuori dalla regione. Grazie a questa speciale relazione tra i sessi, a Juchitán la trasformazione dei prodotti avviene a livello regionale e ciò produce valore aggiunto. L’uomo che lavora nella raffineria di petrolio consegna l’intero salario alla donna, in quanto è lei che lo gestisce. Questo ha dato luogo a un’economia di un determinato tipo, autosufficiente e incentrata sulla donna.

Uno dei risultati più importanti è la grande prosperità di questa area, in particolare se paragonata ad altre regioni dell’America Centrale, che sono generalmente caratterizzate dalla sottonutrizione e dalla fame. I bambini in età pre-scolare sono particolarmente esposti alla sottonutrizione, il che ha un impatto sul loro sviluppo futuro. A Juchitán, i bambini in questa fascia di età, sono mediamente meglio nutriti che un bambino della stessa età negli USA.

L’economia di Juchitán è incentrata sulla donna, così come il centro dell’economia è basato sull’approvvigionamento. Diversamente dalla nostra situazione, la divisione a livello sociale di lavoro tra le donne è molto alta. Una vende condimenti per l’insalata, mentre l’altra è occupata a preparare le insalate. Una fa gli abiti, l’altra li ricama, e ancora un’altra prepara i disegni per i ricami. La commerciante che lavora al mercato ha qualcuno a casa che si occupa dei bambini. I pasti che porta a casa dal mercato sono parzialmente già pronti o del tutto. In relazione all’Europa e al resto del Messico, le divisioni sociali del lavoro nell’area dell’approvvigionamento sono diminuite drasticamente nei tempi moderni. Ciò ha portato a una realtà, che costituisce anche un ideale, per cui nella famiglia la donna deve accollarsi tutte le responsabilità della casa senza divisioni di lavoro all’interno dei suoi confini. A Juchitán, in ogni caso, la donna di casa isolata non esiste. L’economia della città è invece organizzata sulla forma di una grande famiglia/casa con un altro grado di divisione tra i suoi membri. Questa è la forza trainante che sta dietro l’economia locale e regionale: l’aspetto dell’approvvigionamento e non un motivo di profitto astratto. Questo non significa l’assenza della volontà di creare un profitto, ma si tratta di un altro tipo di profitto che utilizza un’altra misura. Tale misura rimane ancorata al concreto, al beneficio e al pratico: buon nutrimento, vestiario, casa, ospitalità, cura etc., invece che meri numeri astratti. La relazione tra partner commerciali rimane personale. Lo scopo è di condurre una buona vita e una vita di comunità, invece del “più è meglio”, o dell’essere il numero uno a spese degli altri.

Questo avviene in relazione al fatto che a Juchitàn c’è poco lavoro salariato. Ciò sembra essere un freno insito nella società, che impedisce al lavoro di diventare una merce. Il lavoro rimane un modo in cui gli esseri umani si manifestano nel mondo. Appartiene alla persona, è un aspetto della persona come la loro sessualità. Ogni donna commerciante è fiera della sua competenza; il commercio stesso è un’arte/mestiere e non può essere demandato a un salariato. Questa è la ragione per cui l’indipendenza gioca un ruolo più grande che l’ambizione di formare un’azienda con dei dipendenti. In relazione a questo tutta la società locale è organizzata in modo meno gerarchico ed è più ugualitaria.

L’economia rimane radicata nel contesto sociale e culturale nella forma di ciò che viene chiamato prestigio economico. La persona che ha più stima non è quella che possiede di più, ma quella che dona di più. Nel donare e nel consumo collettivo di ricchezza accumulata si ottiene prestigio. A Juchitán ci si guadagna dei meriti verso la comunità tramite i numerosi festival. Nella classifica dei meriti contano molto le Velas – grandi festival di strada- 35 ogni anno che durano 4 giorni e a cui partecipano migliaia di persone. Essere lo sponsor di uno di questi festival è l’ambizione della vita di una Teca. Questi festival sono principalmente l’ambito femminile nel quale si ottiene grande prestigio per se stesse e per la propria famiglia. È facile individuare in questi festival le vestigia di riti di fertilità – i festeggiamenti delle Vela coinvolgono gruppi di persone imparentate che abitano nella stessa zona. Queste donne provengono principalmente da clan matrilineari che si ritrovano intorno a un Clan-Totem o Nahual. Ogni Vela ha una sfilata con carri allestiti con temi allegorici dai quali giovani donne regalano fiori, frutti e altri doni.

A Juchitàn vengono celebrati circa 628 grandi festival di strada: compleanni, matrimoni e feste di iniziazione di giovani donne al loro 15° compleanno o, a volte, iniziazioni di un mushe. Per i giovani uomini non ci sono celebrazioni equivalenti.

Di solito una persona, generalmente una donna, ha la responsabilità e sostiene la maggioranza dei costi, ma ogni festival ha molteplici madrine che si accollano una parte della responsabilità organizzativa e del finanziamento del festival. Anche gli ospiti contribuiscono dando offerte e regali; in modo particolare le vicine che sono attivamente coinvolte dalle 4 del mattino in poi per preparare il cibo per le centinaia di ospiti. L’ospite deve tenere a mente tutti i contributi, in quanto ci si aspetta una stretta reciprocità da lei. In questo modo i festival non solo sono una parte integrante dell’economia, dal momento che tengono in moto il processo di circolazione, ma promuovono anche lo spirito di reciprocità che caratterizza il processo di scambio.

Doni, merci, donazioni e assistenza, tutto fluisce ugualmente nel “conto reciprocità” delle Teca e dei Teco, e si applica anche al prezzo dei prodotti al mercato. Lo stesso prodotto può costare una cifra diversa a seconda degli acquirenti, e a seconda dello status di reciprocità sociale. In altre parole, le persone a Juchitán si relazionano col denaro in modo diverso da quello dell’economia capitalistica di mercato. Sebbene siano il mercato, i processi di scambio monetario e le divisioni sociali del lavoro ad organizzare l’economia dell’istmo, sebbene lo stesso peso e lo stesso dollaro siano usati come in altre zone del Messico e nel mercato mondiale, gli acquisti e le vendite, come pure il valore del denaro, rimangono definiti da criteri sociali e culturali indipendenti e non vice versa.

Lo spirito matriarcale

Il diverso spirito di “housekeeping/ governo della casa”, di gestire l’economia e di vivere insieme possono essere spiegati usando i principi matriarcali che ancora esistono.

1. Il primo punto è l’onore personale che sottende l’economia personale e regionale e che è basato sulla genealogia a cui ogni individuo si sente ancorato. Gli Zapotechi dell’istmo e in modo particolare gli abitanti di Juchitán, sono fieri dei loro antenati, a differenza di molte altre genti colonizzate del Messico che si vergognano del loro retaggio. La genealogia materna conta ancora a Juchitán. La reputazione dei figli è determinata dalla reputazione della madre o della nonna. Essi acquisiscono reputazione nel contesto di un’economia fondata sul prestigio. Per esempio, la politica è un ambito maschile a Juchitán, e fa parte di una carriera maschile aspirare a una posizione in quel contesto, preferibilmente diventare un sindaco. Ma il successo di un uomo in politica dipende dalla reputazione della sua famiglia materna, come pure dall’impegno delle sue sorelle e dalla moglie nella struttura del merito.

Non possiamo parlare precisamente di matrilinearità, utilizzando il termine etnologico, ma possiamo ancora vederne le tracce. Per esempio, in Messico il nome viene solitamente dato ai bambini fornendo prima quello del padre e poi quello della madre: ad esempio, Maria Lopez Sanchez. Ma a Juchitan molti padri non vengono neppure menzionati perché il loro nome non ha una funzione reale. Inoltre, le persone si conoscono sulla base del loro “nome di casa”, che solitamente viene trasmesso dalla madre. Le relazioni tra l’altro non sono molto stabili e, come nelle società tipicamente matrilineari, il padre riveste un ruolo minore. Tuttavia, forse come concessione alla comune società messicana, molte madri aspirano al riconoscimento della paternità da parte del padre per il bambino affinché porti il suo nome.

2. Un altro principio matriarcale è l’identificazione con la realtà locale, l’essere connessi a una località specifica come se si fosse radicati nella madre terra, in contrapposizione all’astrattezza e la casualità del mercato globalizzato che porta allo sradicamento di tutto e tutti. Di maggiore importanza per gli juchitechi è il fatto che solitamente le donne possiedono le case. Non esiste la casa del padre, solo la casa della madre. A questa casa possono sempre ritornare i figli se ci sono problemi con la compagna con cui vivono. Ma la casa appartiene esclusivamente a lei. La madre passa la casa e i gioielli alla figlia più giovane affinché possa occuparsi della madre vecchia. Inoltre, la madre si assicura che le nuove case delle figlie siano costruite vicino a lei, nella sua proprietà.

La terra arabile, le barche e gli strumenti maschili sono ereditati secondo la linea maschile. L’erede può essere il figlio biologico o il figlio di una sorella. La proprietà di terre comuni coltivabili assicura l’accesso alla terra di ogni membro maschile della comunità nel caso in cui non abbia ereditato già un appezzamento di terra specifico. In questo modo la trasmissione ereditaria non è la sola a determinare il possesso dei terreni. Comunque, con l’introduzione dei sistemi di irrigazione dell’acqua negli anni ‘60, le terre comuni sono state convertite in terre privatizzate dal governo e poi vendute ai privati. Ci sono state diverse rivolte che hanno avuto successo contro i tentativi di intralciare l’accesso di ogni membro maschile della comunità che ne avesse bisogno.

3. E’ in particolare la tradizione della casa della madre, la matrilocalità, che ha permesso di resistere alla tendenza neo-liberale di orientare la produzione agricola di Juchitán verso il mercato mondiale. Il fatto che gli agricoltori e i pescatori, gli artigiani e i manovali diano i loro guadagni alle donne invece di utilizzarli o venderli ad altri, ha creato la realtà matrilocale. Poiché le case appartengono alle donne e i rituali della coesione sociale e delle genealogie sono focalizzati sulle donne, possiamo dire che la città appartiene alle donne. Gli uomini hanno accesso alla società della città dando il loro prodotti e i loro guadagni alle donne.

L’altro spirito che regna a Juchitán e fa sì che la reciprocità prevalga, permette all’economia e al denaro di rimanere integrato nelle relazioni sociali. Attribuiamo questo altro spirito al principio matriarcale che si concentra nel concreto, nel materiale, nel sostanzialmente utile: questa vita concreta sulla terra e non un qualche mondo trascendente. Questo tipo di pensiero lo definiamo un orientamento verso la sussistenza. Il tema è la “buona vita” qui e ora, oggi; questo è lo spirito che risiede in ogni oggetto, e non lo spirito che troneggia, distante e esaltato sopra ogni cosa che sia una necessità ordinaria – al di sopra di quello che sono il lavoro manuale e i pannolini sporchi.

I rituali dei festival dei meriti connettono tutto. Si riferiscono a località specifiche e a gruppi sociali specifici. Questa relazionalità si applica a ciò che ha valore per ciascuno, l’utile concreto. Il vero pasto, i veri piaceri. Per ogni cerimonia della festa, ad esempio la festa dei Morti la domenica delle Palme, il festival del raccolto, i festival di Ognissanti, ci sono cibi speciali che, attenzione, non sono preparati dalla casalinga, ma dalla specialista donna del mercato che mette la specialità in vendita. Inoltre ciascuno sa che i totopos si Xandani tengono bene quest’anno e che i fagioli migliori vengono sempre da San Miguel, e che i disegni dei ricami di Mushe Sidral sono sempre i più fantasiosi. Negare questa concretezza e creare un’astrazione focalizzandosi semplicemente sulla questione di quanto costa una cosa non verrebbe mai in mente a nessuno. Gli oggetti della vita di ogni giorno non sono svuotati del loro significato e visti solo in termini commerciali. Ogni oggetto ha una sua genealogia, si sa da chi proviene e chi l’ha fatto o trasformato. E questo è esattamente il loro valore.

Si ha cura dello spirito dell’oggetto, in forma matriarcale classica – a casa con l’aiuto di un altare domestico o familiare. E’ da qui che tutto viene benedetto, si fanno sacrifici di cibo agli antenati, è qui che si fanno cerimonie di guarigione. La spiritualità “materiale” viene portata in ogni fosso dei campi con piccoli regali e ogni juchitána versa la prima birra nella terra. A Juchitán non si ha una visione spirituale trascendente. Durante una discussione tra vicini a Tehuantepec, la statua di San Vincenzo è stata portata via, così è stata intagliata una nuova statua per le successive Vela in onore del Santo, che è anche il patrono della città, affinché si potesse celebrare regolarmente la festa. Dopo anni di discussioni la vecchia statua di San Vincenzo è stata restituita e adesso vengono celebrate due Vela in suo onore.

Principi Matriarcali ai tempi attuali – oppure, un altro mondo è possibile

In varie occasioni i sociologi anche quelli positivamente inclini verso gli studi matriarcali hanno posto le seguenti obiezioni. Ci sono troppi elementi patriarcali nella società di Juchitán per poter usare il termine matriarcato. Esiste la violenza da parte degli uomini verso le donne, e io aggiungo da parte delle donne verso gli uomini. Il modo in cui vengono trattati gli animali, in particolare i cani e i piccoli animali domestici che vengono portati al mercato, o trattati come prede di caccia, non hanno nulla a che vedere con la cura.

L’ambiente è violato, in particolar modo il fiume, che è inquinato dai rifiuti.

Tutte queste affermazioni sono corrette, comunque l’obiezione è scorretta. Manca di sensibilità rispetto ai processi storici che includono la contestualizzazione di epoche. Cosa intendo dire? Io mi oppongo a questo tipo di idealizzazione storica dei matriarcati che considera quelle società solo in un passato lontano. D’altra parte questo dipende dal fatto che non credo in una visione idealistica, neppure del Neolitico. Ciò non significa che sono contro le metodologie di formulazione di tipi ideali di matriarcato. È proprio nella natura della categoria “tipi ideali” il voler assemblare elementi generalizzati, astratti e ideali del matriarcato, ma una tale società non esiste nella realtà … Pertanto è necessario, quando si parla di matriarcato, usare il plurale. Se la ricerca storica empirica non mostra la molteplicità delle società matriarcali e ricostruisce invece l’unico e solo matriarcato, la conclusione che resta è che il matriarcato è stato conseguentemente e irrimediabilmente distrutto dal patriarcato.

Vorrei commentare in aggiunta che il carattere epistemologico della diversità e relatività, invece di quello della verità e della obiettività, è nella mia visione la base di una epistemologia “matriarcale” non patriarcale – meravigliosamente espressa nel motto “Donne Diverse per la Diversità”. Esso rivela chiaramente che la diversità biologica è sostenuta dalle donne attraverso la loro diversità culturale piena di colori, non dalla scienza, dalle convenzioni internazionali, dalle banche mondiali o dalle grandi aziende farmaceutiche.

D’altro canto sollevo un’eccezione rispetto all’idealizzazione di ciò che si può chiamare propriamente società matriarcale, un sorta di check-list sulla “correttezza politica patriarcale”, perché sento che rischiamo di lasciarci sfuggire molte possibilità nelle società, inclusa la nostra, per scegliere una nuova strada, diversa dalla distruzione patriarcale globalizzata.

In cosa consiste questo meccanismo strutturale specifico del patriarcato del capitalismo globalizzato, che distrugge contesti di vita? E cosa costituisce il momento decisivo di una pacificazione matriarcale?

Il capitalismo è patriarcale in quanto elimina la cura dall’economia. Secondo i suoi protagonisti solo la sfera in cui si ricavano utili dalle vendite e in cui si accumula il profitto, in base alle cosiddette condizioni competitive generalizzate, può essere chiamata economia.

Il solo scopo di questa economia è di guadagnare il massimo come ritorno sull’investimento; questo significa che come si guadagna è irrilevante. Si giustifica anche moralmente chi vince in questa competizione, semplicemente perché è il “Numero Uno”. Questa economia dai caratteri guerreschi, priva di scrupoli, è socialmente accettabile solo perché si considera che gli altri valori come la cura, occuparsi di, considerazione e reciprocità, siano portati avanti da qualche altra parte – a casa dalle donne, dalle madri, nelle famiglie, dove si manifesta l’amore invece che la competizione. Per questo motivo ciò che si fa in questa sfera non è considerato (da un punto di vista economico) come economia. La cura e le azioni dirette a servire la vita sono scisse, mentre il disprezzo di bambini e donne è un aspetto dell’economia capitalistica globalizzata.

Come in ogni società patriarcale l’ordine simbolico del patriarcato capitalista ha come scopo di far apparire falliche la fertilità e la produttività. Al femminino-materno viene negata la potenza di creare prolificamente. Nello specifico, il capitalismo è la de-materializzazione ideologica del processo naturale. La materia conta solo come materia morta e un prodotto è solo quello che si produce artificialmente con una macchina e con l’aiuto del capitale finanziario: il culmine di tale processo è la creazione di cellule geneticamente modificate.

Ironia della sorte, l’oikonomia (dal greco: amministrazione o governo della casa) è finita per diventare un’attività esclusivamente maschile. C’è una tendenza essenziale a negare l’efficacia economica a tutte le attività femminili oltre che naturali, dirette a creare e sostenere la vita, che vengono de-economizzate.

Un elemento che caratterizza il processo di globalizzazione – il più alto livello di capitalismo a cui siamo giunti finora – è lo “zelo missionario” con cui gli enti tipo Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali, diffondono questa concezione patriarcale e sessista dell’economia in ogni angolo del globo, anche il più remoto. A questo livello di globalizzazione, ciò che è nuovo è la commercializzazione capitalista delle sfere di sussistenza che sinora erano sopravvissute, realizzata con intensità guerresca. Con i negoziati del GATS (General Agreement on Trade in Services, un accordo della World Trade Organisation) lo scopo è di privatizzare tutti i servizi sociali e di affidarli a corporazioni internazionali avide di profitti.

Questo include l’assistenza ai bambini, l’istruzione e anche il sistema sanitario, la fornitura dell’acqua e la raccolta dei rifiuti.

Perfino la conoscenza dei semi e delle erbe medicinali, che giardinieri e contadini si sono passati di generazione in generazione, sono brevettati e commercializzati dai monopoli. Questo sta accadendo in tutto il mondo con le stesse modalità.

Tutto viene convertito in un servizio privato e, tramite l’utilizzo di manodopera sottopagata, in profitto.

Tutto ciò viene modellato sulla base del salario/lavoro flessibile delle donne, come succede da tanto tempo anche nelle aziende.

Questo lavoro può avere un prezzo molto basso ed essere flessibile perché è visto come lavoro delle madri e in parte della comunità, ed è considerato non-economico.

Per quanto ancora sarà considerato lavoro di comunità il lavoro di cura non pagato delle donne? Tutte quelle attività che non possono essere convertite in lavoro pagato e generare profitti? Senza dubbio l’effetto sarà un’ulteriore noncuranza verso la sfera dell’approvvigionamento e un’ ulteriore erosione dell’economia di cura.

Tutto ciò perché naturalmente, anche il settore non-economico, separato, del lavoro femminile ne risenta l’impatto.

Quello che si acquisisce con questo tipo di lavoro non ha nessun valore nella società e nella cultura patriarcale, non solo manca di valore economico, ma non è neppure apprezzato.

Quante madri e casalinghe non vengono rispettate proprio perché si occupano del lavoro di cura? Quante figlie per questa ragione dicono “io non voglio essere come mia madre”? Il che, considerando le condizioni sopra menzionate, è in parte comprensibile. Paradossalmente, queste donne che si sacrificano facendo il lavoro senza chiedere alcuna considerazione stanno sostenendo il sistema di economia capitalistica patriarcale con le loro azioni di auto-negazione.

E’ tragico che le loro stesse figlie le disprezzino: questo danneggia entrambe le generazioni. Il contributo delle figlie alla distruzione della genealogia femminile e la loro mancanza di orgoglio verso le antenate purtroppo ricade su di loro.

L’altro cammino, lontano dal patriarcato globalizzato, è il cammino di guarigione dalla divisione nell’economia. Da parte di chi pratica l’economia della cura ci deve essere attenzione a ricevere qualcosa nel senso della reciprocità. Quando immagino questo, non mi viene in mente l’immagine di una casalinga gentile e materna, e neppure l’immagine di una casalinga che chiede un salario, bensì quella di una fiera donna di Juchitàn che vende al mercato, e una madre di un clan che reclama e rivendica il suo spazio indipendente cercando di essere lei stessa parte di una sorta di “casalinga collettiva”. Per formulare questo come principio generale, dico che per una economia di genere giusta e una società più umana e pacifica abbiamo bisogno sia di re-economizzare l’aspetto della cura per le necessità giornaliere, sia di ri-socializzare l’economia competitiva “alla Rambo”. Lo scopo deve essere quello di creare un’economia della cura e un’economia che si prende cura.

Conclusione

Il processo di patriarcalizzazione continua, e dichiara il vivere dei morti e la morte continua dei vivi. Viceversa, questo significa anche che le società contemporanee, incluse le nostre, contengono al loro interno energie matriarcali. Il maggiore problema dei nostri tempi è l’economicismo della guerra. Per contrastarlo è importante riconoscere ogni forma di vita che ha lo scopo di riprodurre la buona vita e che porta il seme di un altro cammino, più pacifico e co-operativo. In ogni luogo e in ogni momento è un imperativo attivare lo spirito matriarcale contro la distruzione globalizzata del patriarcato verso l’ambiente, lo stato assistenziale e l’economia di reciprocità.

Questo spirito vive nelle piccole cose della vita di ogni giorno, qui ed ora. Vive molto di più nel piccolo negozio all’angolo che nel supermercato Wal-Mart, vive molto di più nelle piccole fattorie che nelle grandi aziende agricole, nella medicina complementare che nell’industria farmaceutica, e nei luoghi dove si stabiliscono relazioni indipendenti, di baratto, e nei mercati regionali rivitalizzati. Lo spirito matriarcale viene rivitalizzato in ogni luogo dove l’ordine simbolico del patriarcato viene messo in discussione. Come qui a questa conferenza.

Creare di nuovo, da questa molteplicità di elementi, il tessuto di una società matriarcale integra, che si riproduce dalle proprie energie come accade a Juchitán, questa è la sfida della società civile, e in sintesi, la sfida per tutti noi.

 

Bibliografia

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Bennholdt-Thomsen, Veronika/ Faraclas, Nicholas/ Werlhof, Claudia von, eds., There is an Alternative. Subsistence and Worldwide Resistence to CorporateGlobalization, Zed Books, London und Spinifex Press, Victoria 2001

Veronika Bennholdt-Thomsen, Cornelia Giebeler, Brigitte Holzer, Marina Meneses, Christa Müller and the social photographer Cornelia Suhan; see: V.B-Th., ed. Juchitán Stadt der Frauen. Vom Leben im Matriarchat, Reinbek: Rowohlt, 1994, 2nd. edition.1997

 

Per una migliore comprensione vi riporto di seguito i dati che fanno riferimento a una ricerca condotta nel 1990. Il 73 % della popolazione locale parla la lingua zapoteca, mentre nel resto del Messico solo il 9% della popolazione parla la lingua nativa, e il 71% dei nativi parla anche lo spagnolo. A Juchitán l’ 85% parla anche lo spagnolo. Nella città ci sono 30 scuole primarie, 6 secondarie e 4 di livello successivo, un college e una scuola tecnica. Il livello di scolarizzazione è quasi uguale per le femmine e i maschi, e questo anche a livello universitario dove circa lo stesso numero di donne e uomini completano il ciclo di studi. Il 40-50% della forze lavorative maschili di Juchitán è impiegato nell’agricoltura e nelle pescherie, spesso in combinazione con un altro lavoro. Circa lo stesso numero di donne sono commercianti, e a seconda dell’importanza del commercio si collega la fonte di reddito. Gli edifici del mercato sono situati al centro della città e i banchi del mercato si espandono nelle strade circostanti. Il 14% di tutte le donne in età di lavoro a Juchitán, circa 1700 donne, commerciano direttamente nel mercato ogni giorno e da lì ricevono il loro reddito e sostentamento. Offrono le loro merci in varie “ondate” o in tempi diversi dalla mattina alla sera. L’artigianato assume un ruolo importante a Juchitán, a partire dalla produzione e commercializzazione del cibo, ai negozi di ricami delle donne, dai laboratori di falegnameria ai laboratori di oreficeria, alla tessitura di amache in cui lavorano gli uomini. Stimo che un quarto della popolazione lavorativa sia impiegata nella produzione e nel commercio di queste attività. Il settore dei lavoratori salariati oltre che di coloro che lavorano nelle scuole, nelle banche, nell’amministrazione e in piccole fabbriche è molto bassa perché a Juchitán prevale il principio di lavorare per sé. Infine, desidero menzionare che la città ha l’elettricità dal 1919 e che gli impianti igienici sono stati introdotti agli inizi degli anni ‘60.

Le occasioni dei festival Vela nella società contemporanea sono spesso legati a feste di santi cattolici, come ad esempio la festa di San Isidro, patrono degli agricoltori, o la festa delle tre croci, simbolo protettivo dei pescatori, o quella di San Vincenzo, a cui è stata intitolata la chiesa principale. Ma esistono anche le Vela del Lagarto, con un coccodrillo vivo come emblema sopra il portale dell’entrata, o le Vela di un quartiere della città, e molte sono le Vela di gruppi famigliari ampiamente ramificati e dei clan collegati. (Brigitte Holzer, “Ökonomie der Feste, Feste als Ökonomie”, in: Bennholdt-Thomsen, V., ed. 1994,p. 48 – 64)

Il legame alle Vela dipende anche dalla zona, che è definita dal lignaggio materno. Uno dei due candidati a sindaco è stato avvantaggiato perché la madre era juchiteca e la sua placenta era stata sepolta a Juchitán, anche se il padre era libanese. Il genitore dell’altro candidato era juchiteco zapoteco, ma il candidato non era nato a Juchitàn . (Cornelia Giebeler, “Politik ist Männersache – Die COCEI und die Frauen”, in V. Bennholdt-Thomsen, ed.., 1994, p. 89-108)

 

L’espressione ramboization “ramboizzazione” è stata coniata da Maria Mies durante una lezione dal titolo: “Tutti gli uomini diventano Rambo” al congresso maschile del partito dei Verdi il 28.05.1994 con il titolo “Between Rambo and Prince Charming”, “ Tra Rambo e il Principe Azzurro”- Documentation available Bündnis 90/ Die Grünen NRW, Düsseldorf 1995

 

Traduzione italiana di Anonima Network Bologna Dicembre 2008.