In ricordo

Amedea Zanarini, mia madre.

Amedea Zanarini, mia madre, era per me nella prima infanzia, una dea, una “grande madre” onnipotente, c’era solo lei, mio padre una figura nemica e ostile dalla quale difendermi.

Per certi aspetti era come un grande amore non corrisposto, perché per lei c’era sempre qualcosa d’importante da fare, sempre tanto da fare.

Più avanti ho capito che nascondeva una certa difficoltà a mostrare i sentimenti e una certa ritrosia per le coccole che aveva imparato da sua madre, mia nonna, che però era stata generosa nel trasmetterle orgoglio e senso di giustizia.

L’Amedea era sempre in movimento e pur di stare con lei cercavo di accompagnarla nella diffusione dei Noi Donne nei remoti paesi della bassa, casa per casa, nell’ufficio dell’UDI, prima in via Parigi poi in via Zamboni dove cercavo di intrattenermi disegnando con i pochi colori delle penna da ufficio. Ricordo gli odori, le scale, gli ascensori, i mobili. Sopportavo le attese in macchina e persino le riunioni con l’odore forte di nicotina degli ambienti chiusi delle sale di riunione del partito.

Poi con l’adolescenza è scattata la ribellione e facevo fatica a capire la sua apprensione per le mie fughe e i miei comportamenti.

Ero circondata da un universo femminile abbastanza variegato. Il lavoro a domicilio, la condizione della donna erano realtà e argomenti familiari.

Quando l’Amedea ha preso la patente io ero nella sua pancia. Forse è per questo che amo tanto viaggiare.

Invece delle favole che non riusciva a raccontarmi per troppa stanchezza mi affascinava la sua descrizione delle strade percorse in bicicletta che collegavano paesi, frazioni, casolari durante quello che lei chiamava “il periodo calndestino”. Strade ripercorse in macchina perla diffusione dei Noi Donne. Non era sempre rose e fiori così come c’è giorno e notte, luce e buio.

Quello che mi ha impressionato sono le testimonianze di altre donne che a differenza di me hanno avuto facilità nel dialogo con lei. Io mi sono sentita incompresa, come una sua creatura di cui non riusciva a capire la natura. Sicuramente tutto questo mi ha forgiato. A lei sono grata di avermi fatto diversa , sono contenta e fiera di avere avuto una madre come lei, anche se non è stato facile.

Ultimamente tutte le volte che tornavo soffrivo a vederla sempre più fragile, sempre più ripiegata su se stessa, sempre più stanca, con un vago ricordo di quel che era e una gran stanchezza. Lei così impegnata per le donne forse si aspettava un maschio, ma non so se per evitare la condizione subalterna o se per un luogo comune o un desiderio di mio padre così solo con tante donne.

Nonostante fosse sempre più svanita il giorno che se ne è andata, mia sorella mi ha detto che si è svegliata e ha chiesto di me. Questo mi ha riappacificato dei conflitti, come un riconoscimento. Una mia amica parla dei suoi figli come dei suoi migliori progetti riusciti. Io non so se sono stata un progetto per mia madre, ma di sicuro, come dice il profeta Khalil Gibran mi sento come una freccia scoccata dal suo arco che ha preso le ali e ho spiccato il volo.

Antonella Antonioni

Dicembre 2019

   

Amedea ci ha lasciate domenica 3 novembre 2019
Amedea ha donato, a sé e a chi l’ha conosciuta, ricchezza di comprensione, di lotta contro la volontà di sottomettere per dominare, SOPRATTUTTO NOI DONNE, offrendo al suo agire, alla sua lungimiranza, alla sua scrittura, una profonda leggerezza che allargava il respiro e induceva a un sorriso anche nei momenti più duri insegnando che la vita va accolta così, per assaporarne la pienezza.
Amedea non ha scritto solo documenti, ma ha anche raccontato episodi della sua vita collegati ai fatti della Storia raccolti in un libro “Rosso bolognese”.
Tempo fa sua figlia Elsa ci disse che la madre ogni giorno leggeva un po’ del suo libro forse per ritrovare sé stessa nei ricordi. Noi di Armonie ringraziamo di averla incontrata.

Le donne che hanno partecipato alla guerra partigiana, non sono state costrette a una scelta obbligata – non ricevevano la cartolina precetto per combattere con i fascisti della repubblica di Salò. Semplicemente sapevano che la vera libertà non è mai individuale. Quindi, molte, hanno continuato a lottare contro l’ingiustizia e l’ineguaglianza. Amedea racconta come il non arrendersi sia stato la via al suo costruirsi donna nel Novecento.!”
Amedea Zanarini

 

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